Il gioco dei bugiardi – Anticipare il mercato

Il mitico Michael Lewis noto al mondo per aver scritto “La grande scommessa” (o per meglio dire in inglese “The big short” (che ha molto più senso)) ha, in passato, pubblicato un libro altrettanto bello che si intitola “Il gioco dei bugiardi“.

Vi riporto di seguito uno dei paragrafi che più mi ha interessato:

Molte delle operazioni che mi suggeriva Alexander (Un collega dell’autore quando ancora lavorava nella banca di investimenti Salomon Brothers) seguivano uno di due schemi.

Il primo era che quando tutti gli investitori stavano facendo la stessa cosa, lui cercava attivamente di fare la cosa opposta. La parola usata dagli operatori di borsa con riferimento a questo approccio è contrarian, praticamente bastian contrario. Tutti vorrebbero svolgere questo ruolo, ma nessuno lo fa per il triste motivo che la maggior parte degli investitori teme di sembrare folle. Gli investitori hanno paura di ritrovarsi soli, nel senso di prendere rischi che tutti gli altri evitano, che di perdere soldi. Quando vengono colti a perdere soldi da soli non hanno scuse per giustificare il proprio errore, e la maggior parte degli investitori, come la maggior parte delle persone, ha bisogno di una scusa. Sono, stranamente, felici di rimanere in piedi sull’orlo di un precipizio fintantoché siano accompagnati da qualche migliaio di altre persone. Ma quando un gran numero di persone pensa che un mercato versi in cattive condizioni, anche i problemi sono illusori, molti investitori ne escono.

Un buon esempio in tal senso è stata la crisi della U.S. Farm Credit Corporation. Si è avuta per un momento l’impressione che potesse finire in bancarotta. Gli investitori hanno abbandonato in massa le relative obbligazioni perché, essendo stati avvertiti della probabile disgrazia, non potevano essere visti nei pressi di quei titoli senza mettere in pericolo la loro reputazione. In un’era in cui non era permesso fallire, in cui il governo statunitense era intervenuto per soccorrere aziende lontane dall’interesse nazionale come Chrysler o Continental Illinois Bank, non aveva modo di lasciare che una banca come Farm Credit diventasse insolvente. Gli investitori istituzionali lo sapevano. Le persone che hanno venduto le obbligazioni a meno del loro valore non erano necessariamente stupide. Semplicemente non potevano essere viste con quelle obbligazioni in mano. Poiché Alexander non era soggetto a vincoli dovuti all’impressione che dava, cercava di sfruttare le persone che lo erano (il rischio del mestiere associato a quel ruolo era un brutto elitarismo: iniziavi a pensare che tutti gli altri fossero stupidi).

Il secondo schema razionale seguito da Alexander era che in caso di gravi scompigli, come il crollo dei mercati azionari, una catastrofe naturale o la sospensione degli accordi di produzione dell’OPEC, spostava lo sguardo dal punto su cui si era concentrata inizialmente l’attenzione degli investitori e andava in cerca di effetti secondari o terziari.

Vi ricordate Chernobyl? Quando fu diffusa la notizia che il reattore nucleare sovietico era esploso, Alexander mi chiamò. La conferma del disastro era apparsa a caratteri lampeggianti sugli schermi dei nostri terminali Quotron solo pochi minuti prima, ma Alexander aveva già comprato l’equivalente di due superpetroliere di greggio. L’attenzione degli investitori era concentrata sulla borsa di NY, in particolare su qualunque azienda avesse a che vedere con l’energia nucleare. I titoli di queste società stavano colando a picco. Non pensarci, mi disse. Aveva appena sottoscritto, per conto dei sui clienti, contratti future sul petrolio. Nella sua mente una migliore offerta di potenza nucleare equivaleva istantaneamente a una maggior domanda di petrolio, ed aveva ragione. I suoi investitori guadagnarono soldi a palate. I miei ne guadagnarono qualche cucchiaiata. Pochi minuti dopo che ebbi persuaso alcuni dei miei clienti a comprare un po’ di petrolio, Alexander mi richiamò. “Compra patate” disse. “Devo scappare”.

Ma certo, una nube di ricadute avrebbe minacciato le riserve alimentari e idriche europee compreso il raccolto di patate, facendo salire il prezzo delle risorse sostitutive americane non contaminate. Forse qualche altra persona a parte i coltivatori di patate avrà pensato al prezzo delle patate in America pochi minuti dopo l’esplosione di un reattore nucleare in Russia, ma io non ne ho mai incontrata una.

Tuttavia, Chernobyl e il petrolio sono un esempio relativamente semplice.

C’era un gioco che facevamo, chiamato “E se?” Permetteva di introdurre ogni sorta di complicazione. Immaginate per esempio di essere un investitore istituzionale che abbia in gestione un patrimonio di qualche miliardo investito in parte in Bond Giapponesi. E se avvenisse un forte terremoto a Tokyo? Tokyo ridotta ad un cumulo di detriti. Gli investitori in Giappone andrebbero in panico. Vendono YEN e cercano di togliere i propri capitali dal mercato azionario giapponese. Che cosa fai tu?

Seguendo lo schema di prima, ciò che avrebbe fatto Alexander sarebbe stato investire ancora di più sul Giappone, in base al presupposto che poiché tutti stavano cercando di uscirne, avrebbero dovuto per forza esserci buoni affari a disposizione. Avrebbe comprato esattamente titoli giapponesi che agli altri sembravano meno desiderabili. A partire dalle azioni di compagnie assicurative del Paese. Il mondo intero avrebbe presupposto che le normali compagnie assicurative fossero fortemente esposte, mentre in realtà tutti i rischi avrebbero riguardato quelle occidentali, oltre a una determinata compagnia giapponese specializzata in terremoti che aveva messo da parte premi assicurativi per decenni. Le azioni delle normali compagnie assicurative sarebbero state a buon mercato.

Successivamente Alexander avrebbe comprato titoli di Stato giapponesi per un valore di un paio di centinaia di milioni di dollari. In presenza di una economia temporaneamente in sfacelo, il governo avrebbe ridotto i tassi d’interesse per incoraggiare la ricostruzione e avrebbe semplicemente ordinato alle banche di concedere crediti a quei tassi. Come sempre, le banche del paese avrebbero soddisfatto la richiesta del loro governo. I tassi d’interesse inferiori si sarebbero tradotti in prezzi superiori delle obbligazioni.

Inoltre, il panico a breve termine avrebbe facilmente potuto essere messo in ombra dal rimpatrio a lungo termine di capitali giapponesi. Le aziende giapponesi hanno enormi capitali investiti in Europa e America. Alla fine avrebbero ritirato quegli investimenti, li avrebbero riportati in patria, si sarebbero leccate le ferite, avrebbero rimesso in sesto i propri stabilimenti e rinforzato le proprie risorse. Come? Secondo Alexander avrebbero venduto i propri dollari, franchi, marchi e sterline. Lo YEN si sarebbe apprezzato, non solo a causa degli acquisti da parte dei giapponesi, ma anche perché gli speculatori esteri alla fine si sarebbero resi conto di quegli acquisti e si sarebbero affrettati a seguire le orme dei giapponesi. Se lo yen fosse crollato immediatamente dopo il terremoto, questo non avrebbe fatto altro che convincere ulteriormente Alexander, che cercava sempre di fare cose inaspettate, che la sua idea fosse buona. D’altro canto, se lo yen fosse salito magari avrebbe venduto quello che già aveva.

Michael Lewis

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